Feature: ZEUS! – intervista

March 1, 2016 · Juliane Schütz

The other day a very friendly Italian guy named Giorgio Moltisanti asked me if I was willing to contribute some of my gifs for an interview he did with the amazing ZEUS!

(How could I not agree? Thanks again!)

yesiamdrowning:

monotonici: intervista agli ZEUS!

Bologna: Scalo S. Donato, primavera di sei anni fa o forse è passato di più, è già notte inoltrata. Il primo ricordo che ho legato al nome Zeus! è l’anteprima di quello che sarà poi il loro debutto omonimo uscito nel 2O1O. Me li propose la fu Simona Gretchen: per sempre grato. Tutto intorno è il solito andirivieni di un centro sociale nel quale il concerto è solo una parte del tutto, la band e il pubblico non vivono alcun tipo di pressione. Il batterista Paolo Mongardi, ancora distante dal suonare con i Ronin, la Fuzz Orchestra e altre settantatré formazioni, è così preoccupato della sua estetica che indossa una t-shirt di Marco Masini che la metà dei gruppi post-hardcore non userebbe nemmeno come pigiama; rilassato, con una capigliatura allora ancora leonina tenuta a freno da un solo elastico, nel suo risponde alle domande dei curiosi che si avvicinano. Ai più fortunati, come il sottoscritto, dà una copia in CDr di quello che sarà l’album ufficiale con la scritta ZEUS in pennarello – come verrà ripreso nel packaging definitivo.

Luca Cavina, bassista e urlatore, è un cazzone che da poco è finito in quella macchina da guerra nota come Calibro 35 ma non se ne vanta: non ne parla affatto. Non ha l’aspetto da intellettuale, pure con la sua barbetta à-la Thoreau, ed è relativamente tranquillo rispetto alla molla che poi salterà in lungo e in largo sul palco qualche istante dopo. Solo i suoi occhi e la vivace alternanza di battute a momenti di promozione dura e cruda tradiscono uno spirito più quadrato e “imprenditoriale” di Paolo. Entrambi però sono coi piedi ben saldi a terra, non fanno mistero dei lavori infami fatti per vivere prima di contare solo (o quasi) sulla musica; entrambi trasudano semplicità, idee molto chiare e pure un pizzico di cinismo. Questo aspetto è rimasto immutato negli anni.

Evidentemente nella loro mente c’è un tasto ON/OFF che gli permette di essere a piacimento una compagnia simpatica e tranquilla, o sul palco un accumulatore di energia pura che riversano senza sosta sul pubblico.

Non a caso sono soliti definitre la loro “musica per petardo lovers” – Zeus infatti non ha nulla di ellenico in sé ma riprente il nome dei botti della famiglia dei Magnum: roba che puoi tenere in mano solo fino a che non accendi la miccia. Non a caso l’aspetto live è da sempre un loro punto di forza, anche quando il disco l’hanno sentito in pochi. Come per l’ultimo Motomonotono. Concepito e registrato nei ritagli e nelle pause tra  un concerto e un altro (“Diciamo che i ritagli di tempo li usiamo per incontrarci, provare e buttare giù il materiale. Le pause fra un ritaglio e l’altro servono a meditare su quel che abbiamo prodotto. 

Ritagli di tempo e pause sono due facce della stessa medaglia”), uscito qualche mese fa e già portato in giro con almeno 5O date. “Il disco nuovo lo suoniamo tutto, anche se diamo spazio ai nostri Classici – dice Luca – Riarrangiando qualche cosa ai fini del concerto, pure perché non tutto può rendere come in studio se suonato in maniera pedissequa nel live, anche banalmente per differenti situazioni tecniche. Un esempio fra tutti, il maledetto limite db”.

Perizia tecnica e attitudine punk, preparazione e duttilità che hanno spinto la Three One G. di Justin Pearson a bissare il sodalizio iniziato col precedente Opera (2O13). E mentre la Tannen concorda e Sangue Dischi ritorna sul luogo del delitto a un lustro dall’esordio, altre etichette hanno cambiato idea in corso d’opera perché da noi queste cose non bastano o si è predisposti ai rapporti una botta e via – o se la spicciano loro perché. “Justin l’abbiamo conosciuto alla fine del 2O11 aprendo dei concerti dei Retox in Italia. E’ stato lui a venire da noi, conosceva la nostra musica e voleva assolutamente il vinile del primo disco. Quando conosci qualcuno di persona, dal vivo, è più facile che possano gettarsi  delle basi più che se uno sconosciuto ti scrive via mail “Ciao siamo gli Zeus!”, quando gli abbiamo chiesto se era interessato a fare uscire Opera per 31G il suo feedback positivo è stato istantaneo. Per Motomonotono, quando gli abbiamo chiesto se era interessato non avevamo ancora niente da fargli ascoltare e lui ci ha risposto qualcosa del tipo “andate tranquilli, tanto lo so che il disco sarà una figata”. Vero o no, direi che ci sono dei buoni presupposti per un rapporto di fiducia”.

Stupisce un po’ ritrovarli un catalogo in prevalenza grindcore, hardcore o tutt’al più metal (penso ai Locust, Cattle Decapitation, i defunti Crimson Course, tutta roba rilasciata da 31G), tanto più che il sound sembra ora meno core e più strutturato che in passato, meno nichilista (se si esclude il crescendo quasi black di Forza Bruta) e più groovy e d’atmosfera. Eppure si vede che all’estero a queste cose non ci fanno tanto caso e badano più alla qualità complessiva del loro roster che a seguire una direzione. Luca prova a schiarirmi le idee: “Non saprei, hanno anche gruppi come ZS che coi generi di cui parli tu hanno molto poco a che fare, ancora meno di noi. Credo che il minimo comune denominatore dei gruppi sotto 31G sia un che di “wierdness” che tiene tutti insieme. Noi Zeus! siamo delle mosche bianche in un panorama che genericamente chiamerò “heavy”. Siamo strutturati, non ci piove, ma abbiamo un lato sudato, puzzolente e cazzone, soprattutto dal vivo, che stempera quella caratteristica”. Eppure qualcuno, in sede di recensione, insiste. Notando un approccio prog(ressivo). E pur prendendolo come un insulto, non posso fare a meno di constatare che gli Zeus! siano effettivamente una band in continuo movimento e che non si limita a mantenere le posizioni acquisite, ma cerca di spostarsi in avanti. In questo senso il loro percorso artistico sembra quasi una costante minaccia o un avvertimento a ciò che potrebbe succedere ma non è detto che accada. Luca a tal proposito mi rasserena su quanti ho sentito pronosticare un futuro à-la Dillinger Escape Plan, fatto di controllata violenza e momenti più soft con aperture persino totalmente pulite: “Tempo addietro abbiamo fatto due chiacchiere con un chitarrista americano, mostruoso a livello tecnico, che aveva fatto un provino per entrare nei Dillinger. Il provino andò molto bene, ma non lo presero perché era troppo magro e non aveva una forma fisica adeguata per sostenere un tour per come lo intendono i Dillinger. C’è chi dice, fonte non certificata, che quelli là fanno anche palestra prima dei live. Direi che anche solo per questa panoramica le probabilità di quel che dici sono molto remote”.

Devo ammettere chi i dischi dei DEP sono belli intensi ed espressivi, ma alla fine se dovessi scegliere prediligo la coerenza degli Zeus!, perché pur non avendo gli interessamenti da parte di major -sintomatico di un alleggerimento strategico palese – non rischiano nemmeno d’incastrarsi come una mosca attorno a una lampadina come gli Ufomammut, che avranno pure un contratto con la Neurot ma – un disco, dieci o cento che hanno fatto – l’unica differenza che si avverte è il titolo, e nemmeno tanto. “Evidentemente il motore creativo del progetto non è approdare alla Neurot che, chiariamo, mica ci dispiacerebbe. In 31G siamo approdati senza quasi fare una mossa. Poi certo, 31G non è un’etichetta grossa come la Neurot, se vogliamo porla in un’ottica di dimensioni. Boh, magari per arrivare a non so che altro noi dobbiamo impiegarci dieci o dodici mosse. Oppure, semplicemente, in alcuni lidi non approderemo mai”. Recentemente ho anche sentito dire che Opera era più barocco rispetto il debutto, Moto lavora invece su sfilettature elettroniche in almeno due brani (Panta Reich e Phase Terminale). Il dubbio che Cavina senta anche avanguardia, minimal, ambient e tutte quelle cose con cui solitamente si sega il lettore di Blow Up (o che sia solo giunto alla fase terminale da colonne sonore dopo anni di militanza nei Calibro 35) si è fatta strada nella mia testa. Visto che per queste cose sono un tipo anche sfacciato ho chiesto chiarimenti al diretto interessato. “No, non sono un fine conoscitore di elettronica minimal, ne di ambient, anche se quel poco che conosco mi piace. Diciamo che ho comprato un chorus e un whammy nuova generazione che mi permette di trasformare il basso in qualcosa di simile a un synth o una chitarra. Unendo quei due gingilli a un delay ho provato sensazioni che non sperimentavo da quando, molto piccolo, mi misero in mano per la prima volta il Didò”. Ecco, quando si parla di ottimi musicisti e/o ottimi compositori il rischio è quello di apparire come i “primi della classe” fermi e cerebrali, finendo per forza di cose  per stare sul culo un po’ a tutti. Con gli Zeus! questo rischio non si corre mai (”Impossibile, quando c’è nostra incredibile carica di Simpatia”) tanto che persone veramente poco inclini a risultare gradevoli, come i Bachi da Pietra, sembrano aver apprezzato molto la loro ironia, soprattutto quella usata per i titoli delle canzoni (”Chiederemo a Bruno e Giambeppe e, se troveremo gli estremi, ci accorderemo per le royalties”) che hanno copiato a man bassa dopo anni di rigore formale e austerità concettuale. E se di recente si sentono sempre più gruppi indie che si definiscono politici, dandosi così spesso un tono nel nulla che poi propongono, di contro ogni disco disco degli Zeus! è un tripudio di titoli cazzoni per un sound che potrebbe essere usato per torturare prigionieri d’ogni guerra da qui all’eternità, ma se qualcuno gli propone un proclama, anche se piccolo, così, giusto per provare che effetto può fare sentirsi parte del gruppo, rispondono sintetici: “Su richiesta no”. Ancora ilarità? Non ci giurerei. Perché in fondo un certo gusto colto, da intellettuale che potrebbe menarcela sul compagno Lissitzky ce l’hanno. Bisogna solo saperlo cogliere. Per dire, c’è una traccia (Shifting) che si concede al tribalismo ma se pensate che suonando un genere come il loro lì si vada a parare, alla madre Africa, ai nativi dell’Amazzonia, gli indigeni del Mato Grosso e tutto quello che sdoganarono su larga scala i Sepultura nel 1996 e gli Slipknot poco dopo, la loro analisi fa capire molte cose.

“La musica africana ha una base poliritmica molto forte, in qualsiasi forma imbastardita tu la possa trovare. In questo senso, qualsiasi musicista che si cimenti con la poliritmia, prima o poi sbatte il grugno contro l’Africa. E pensa che Steve Reich sdoganò questa relazione prima ancora dei Sepulrura”. Ecco, l’ultimo che ricordo mi abbia citato Steve Reich di rimbalzo ai Sepultura è stato Les Claypool dei Primus, simpatico anche lui  ma di sicuro non un cretino qualsiasi. Non a caso Enrico Gabrielli e Sebastiano De Gennaro hanno scelto anche loro per il progetto a nome Der Maurer che trasformerà in musica colta, da  camera o vere e proprie piéce classiche composizioni di gruppi del circuito grindcore italiano.

L’ultimo ricordo che ho legato agli Zeus! è di un concerto nella mia città natale in un posto grande il doppio della mia camera da letto riempito all’inverosimile. Luca un paio di volte dà come l’impressione di volersi buttare nella calca che scapoccia, quasi a volere condividere basso e sudore col pubblico e spaccare le anguste barriere imposte dal locale. Paolo, matematico, sanguigno, è dotato di un’attitudine che sembra non estinguersi. Leggenda metropolitana dice che quella sera qualcuno se la sia fatta addosso perché non è riuscito a driblare la folla e raggiungere il bagno per tempo o forse per la voglia immensa di restare sottopalco; che ci crediate o meno, sono verosimili entrambe le versioni.

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– Le gif sono tutte di Juliane, dalla Germania con passione e furore.